Molte aziende agricole guardano oggi al biologico, sia per ragioni etiche e sensibilità ecologica, sia per valorizzare meglio i propri prodotti sul mercato. Da parte dei consumatori c’è una richiesta crescente di biologico e poter proporre frutta e verdura bio può essere anche un modo di spuntare prezzi migliori.

La certificazione bio però non è un semplice “bollino”: richiede l’adesione a un metodo di produzione che comporta una serie di vincoli riguardo a tutto quello che può e deve essere fatto, e i prodotti consentiti per concimare e per difendere le colture dalle avversità.

Per questo convertire la propria azienda al metodo biologico significa, tra le altre cose, adattare le pratiche di coltivazione in coerenza con quanto permesso dalla normativa di riferimento.

Bisogna ricordare che la certificazione biologica è una certificazione volontaria di qualità, che non offre garanzie circa la salubrità dell’ambiente di partenza. Capita, infatti, di sentire obiezioni su produzioni biologiche che si ottengono in ambienti che, a parere di chi parla, non sono sufficientemente “incontaminati”, ma bisogna tenere presente sempre che si tratta di una certificazione di processo, legata a come si produce.

campagna biologica

Esaminiamo qui gli aspetti agronomici del passaggio al biologico. Questo articolo si rivolge sia agli agricoltori convenzionali che intendono passare al biologico, sia alle persone che iniziano la loro attività agricola direttamente con la certificazione bio. A questi ultimi può essere utile anche la lettura di come aprire un’azienda agricola bio.

Ci concentriamo quindi sulle tecniche e sull’applicazione pratica in campo dei principi dell’agricoltura biologica, mentre trattiamo in altra sede di normativa e burocrazia del biologico. Tuttavia anche in questa sede facciamo riferimento alle normative (in particolare il Reg UE 848/2028), perché è proprio nella normativa che troviamo ciò che si può e ciò che non si può fare.

Tempistiche della conversione

La conversione al biologico inizia con l’invio, all’Organismo di Controllo, della notifica di inizio attività, tramite il Sian (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) o i portali regionali di riferimento. Deve anche essere preparata una relazione tecnica dettagliata in cui viene spietata l’attività che si vuole certificare, punto per punto. L’OdC scelto riceve quindi la documentazione, organizza una prima visita ispettiva in azienda e se tutto risulta conforme, prende avvio la fase di conversione al biologico.

Con l’avvio della conversione l’azienda si assoggetta al sistema di controlli e deve rispettare gli adempimenti previsti, tra cui la predisposizione, ogni anno, e dal primo anno, del PAP, ovvero il Programma Annuale di Produzione, in cui si dichiara, nel caso di coltivazioni, che cosa si coltiverà in ogni parcella di terreno e la resa che ci si attende.

I dettagli normativi sulla conversione potete trovarli nell’articolo 10 del Reg 848/2018, ma in sintesi possiamo affermare che durante tutto questo periodo, che dura 2 anni per la maggior parte delle colture (seminativi, orticole) e 3 nel caso di colture arboree, bisogna operare in tutto e per tutto come agricoltori biologici ma senza poter vendere ancora i prodotti con questo termine. Quindi si tratta di una fase un po’ delicata, nella quale è importante puntare sulla propria formazione e riorganizzazione del lavoro aziendale. Può sembrare veramente penalizzante, ma bisogna considerare che in certi casi un lasso di tempo è necessario a permettere una sorta di pulizia dei terreni da sostanze precedentemente utilizzate.

Chi opera su un terreno precedentemente incolto o già coltivato come biologico può, con le opportune documentazioni e certi passaggi burocratici, richiedere un accorciamento del periodo di conversione, sebbene si tratti di una pratica un po’ onerosa.

L’approccio differente del bio

Praticare agricoltura biologica non significa limitarsi a sostituire i prodotti di sintesi chimica con altri prodotti meno impattanti sull’ambiente. Chi sceglie questo metodo perché spinto da un ideale ha un approccio ampio verso la terra e l’ambiente, e la sua azienda agricola punta su una sostenibilità ecologica di lungo periodo e ad ampio raggio.

Le problematiche vengono prevenute creando le condizioni migliori per far stare bene le piante ed evitando il ragionamento “ho un problema e trovo la soluzione in un prodotto”.

Il riferimento normativo importante per chi coltiva con metodo biologico è l’allegato II del Reg 848/2018, “Norme di Produzione”, e in particolare la Parte I, “Norme di produzione vegetale”.

Preservare le risorse naturali

L’acqua, la terra, la biodiversità in genere sono da salvaguardare e una buona agricoltura ne tiene conto e collabora con la natura in questo senso.

Quindi è bene scegliere, per esempio, metodi irrigui che consentano un uso parsimonioso dell’acqua, pacciamatura ove possibile, da preferire alle lavorazioni meccaniche per il controllo dell’erba, per limitare l’uso di combustibile, variegare il paesaggio agrario con siepi e tante altre buone pratiche applicabili ai singoli contesti.

Le lavorazioni del terreno

Certe lavorazioni possono impattare l’ecosistema suolo, come la classica aratura che lascia la suola di lavorazione, strato compatto e poco penetrabile dalle radici, e che rovescia gli strati di terreno.

Per evitarla, possiamo sostituirla con tecniche di minima lavorazione con macchine appositamente concepite per ridurre l’uso di combustibile e impattare meno sull’ambiente.

Per l’orticoltura possiamo usare la vangatrice, che esiste anche in versione piccola e semovente, chiamata “motovanga”. Si consiglia di visitare qualche fiera dei macchinari agricoli e farsi un’idea delle ultime novità e dei prezzi.

Fertilizzare il terreno in modo biologico

Sicuramente la gestione della fertilità del terreno è un capitolo molto importante, che fa la differenza tra i diversi metodi agricoli.

Bisogna sicuramente abbandonare concimi chimici di sintesi come urea e perfostati, e puntare a rendere la terra fertile mediante altri metodi, quali:

  • Inserimenti di leguminose nelle rotazioni.
  • Sovesci.
  • Interramento di tutti i residui colturali.

Possiamo comunque usare ammendanti come letame, compost, pollina e concimi organici, anche sotto forma di pellets, o minerali naturali.

Possiamo anche adottare biostimolanti, ossia prodotti che stimolano la radicazione delle piante e ne migliorano lo sviluppo, come micorrize e Microrganismi Effettivi.

Il riferimento normativo sulle possibilità di uso di fertilizzanti in biologico è l’allegato II del Reg UE 1165/2021, dove potete trovare tutta la tabella e le specifiche per ciascun tipo di fertilizzante (ovviamente non sono elencati i prodotti commerciali ma solo i nomi generici).

Come nella precedente normativa, viene specificato che il letame deve provenire da un allevamento “non industriale”, dove per industriale si intende un allevamento in cui gli animali sono tenuti in assenza di luce naturale per tutto il loro ciclo e sono messi in stabulazione fissa. Quindi non è obbligatorio che il letame provenga da allevamenti certificati bio, ma basta che non siano di tipo industriale e che il fornitore vi rilasci una dichiarazione scritta e firmata che lo attesti.

Materiale di propagazione: quali semi e piantine si possono usare

piantine

I semi, le piantine da orto, le barbatelle e tutto il materiale con cui propaghiamo le colture, devono essere rigorosamente certificati bio.

Dobbiamo richiedere ai fornitori il Certificato, eventualmente verificando sul Sian, nell’elenco degli operatori biologici, che questi loro documenti siano in corso di validità.

Se per una determinata varietà vegetale non si trovano semi biologici, è possibile chiedere una deroga, che adesso si fa per via telematica tramite il Sian. Può eseguirla il vostro CAA (Centro di Assistenza Agricola) su vostra richiesta.

Una delle novità interessanti che il nuovo Regolamento 848/2018 ha introdotto è quella del Materiale Eterogeneo Biologico, definito come un insieme vegetale appartenente a un unico taxon botanico del più basso grado conosciuto che presenta caratteristiche fenotipiche comuni, è caratterizzato da un elevato livello di diversità genetica e fenotipica, ma non è una miscela di varietà.

L’obbligo delle rotazioni

Chi aderisce al metodo biologico è tenuto a rispettare le rotazioni secondo la normativa, ovvero le “Norme di produzione vegetale” già citate prima, ma per l’Italia anche il DM 229771 del 20/05/2022.

Vi si legge: “In caso di colture seminative, orticole non specializzate e specializzate in pieno campo, la medesima specie, al termine del ciclo colturale, è coltivata sulla stessa superficie solo dopo l’avvicendarsi di almeno due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminosa, coltura da sovescio o maggese. Quest’ultimo con una permanenza sul terreno non inferiore a 6 mesi.”

Vi sono però delle deroghe, tra cui questa “gli ortaggi a foglia a ciclo breve possono succedere a loro stessi al massimo per tre cicli consecutivi. Successivamente ai tre cicli segue almeno una coltura da radice/tubero oppure una coltura da sovescio”.

La difesa biologica delle piante

La difesa delle piante dalle malattie e dai parassiti è uno dei capitoli che maggiormente contraddistingue i diversi metodi agricoli.

Molti sanno che l’agricoltura biologica è quella che evita l’uso dei “pesticidi”, termine improprio che racchiude tutti i prodotti fitosanitari (diserbanti, fungicidi, insetticidi), ma è giusto fare un po’ di chiarezza.

A onor del vero, l’agricoltura biologica consente l’uso di determinati prodotti, che sono meno impattanti rispetto a quelli del convenzionale, ma alcuni di questi se non vengono usati con le massime precauzioni e secondo le modalità indicate in etichetta, hanno comunque un certo effetto ecologico negativo.

Per esempio, alcuni insetticidi sono poco selettivi e possono uccidere anche insetti utili, mentre il rame, pur essendo utilizzabile, non si degrada nel suolo e lascia dei residui. Bisognerebbe utilizzarli in caso di vero bisogno e con la massima prudenza.

La prevenzione

Prima ancora di pensare a quali prodotti utilizzare per difendere le colture, bisogna puntare al massimo sulla prevenzione, e ridurre così le probabilità che si verifichino malattie e attacchi parassitari. Le buone pratiche in questo senso sono:

  • Rotazioni: come diciamo sempre, sono fondamentali per ridurre la presenza di patogeni e parassiti delle specie vegetali;
  • Irrigazioni a goccia e non per aspersione: per evitare l’umidità stagnante sulle piante, condizione favorevole alle malattie fungine.
  • Concimazioni equilibrate, senza eccessi: le piante devono essere ben nutrite, ma troppo azoto le rende più suscettibili alle patologie e agli attacchi di alcuni insetti. In ogni caso la normativa vieta di distribuire più di 170 kg/di azoto/ettaro/anno, e quindi il totale di letame o compost devono essere calcolati in modo tale da non superare quella quantità.
  • Sesti di impianto ampi: nel frutteto ma anche nelle coltivazioni orticole, sesti ampi consentono un maggiore circolo di aria tra le piante e quindi meno ristagno di umidità.
  • Scelta di varietà resistenti o tolleranti alle avversità.
  • Biodiversità. Creazione di laghetti, siepi, cespugli sparsi, bordure di fiori e aromatiche, che oltre a rendere gradevole il paesaggio (fattore non trascurabile se si pensa, per esempio, di fare attività agrituristica) favoriscono la presenza di insetti utili, uccelli insettivori, ricci, ecc.
  • Cura del drenaggio del suolo, per evitare i ristagni idrici e quindi marciumi vari.
  • Monitoraggi costanti delle avversità, anche grazie al supporto del Bollettini Fitopatologici, che sono un servizio a carattere territoriale, e che aiutano a definire una soglia di danno, ovvero il momento in cui vale la pena eventualmente intervenire con un trattamento.

Nonostante tutto questo, chiunque coltiva sa che è difficile evitare totalmente le avversità, date le condizioni generali in cui operiamo e alle quali si aggiungono i cambiamenti climatici e l’arrivo di tanti insetti esotici, e quindi serve un po’ di pazienza.

orticoltura bio

Prodotti ammessi per la difesa fitosanitaria bio

I principi attivi utilizzabili per la difesa in agricoltura biologica sono elencati nell’allegato I del Reg 1165/2021. Possiamo scaricare l’etichetta dei prodotti commerciali corrispondenti e capire su quali colture sono registrati e contro quali avversità.

Per il diserbo non ci sono erbicidi ammessi, quindi bisogna agire mediante pacciamatura, diserbo meccanico, solarizzazione ecc.

Ricordiamo che nell’agricoltura professionale devono essere scelti i prodotti registrati per quella determinata coltura e problematica, e che dobbiamo essere in possesso del “patentino”, ovvero il Certificato di Abilitazione all’acquisto e all’utilizzo dei Prodotti Fitosanitari, che si ottiene frequentando un corso da 20 ore e relativo, esame e rinnovarlo ogni 5 anni. Quest’ultimo adempimento riguarda anche i prodotti ammessi nel biologico, che sono fitofarmaci a tutti gli effetti sebbene più eco-compatibili.

Gli insetticidi ammessi in agricoltura biologica sono di origine naturale e biodegradabili. Ecco alcuni dei più noti:

Tra i fungicidi ammessi nel bio citiamo, oltre a rame e zolfo, quelli derivanti dai microrganismi:

Naturalmente, sono consentite  anche le sostanze corroboranti, ovvero quei prodotti che si usano per trattamenti a scopo preventivo per stimolare le difese naturali delle piante, e che vanno per questo utilizzate regolarmente e a scopo preventivo. Tra queste, citiamo ad esempio:

Metodi alternativi agli insetticidi

Nella difesa dagli insetti nocivi il monitoraggio costante delle colture è una pratica essenziale. All’occorrenza, possiamo utilizzare altri mezzi quali:

  • Trappole: possiamo introdurre nelle serre, nei frutteti, uliveti o orti delle trappole a feromoni sessuali, trappole cromotropiche o trappole alimentari. Ne esistono di vari tipi sia a scopo di monitoraggio sia per la cattura massale vera e propria, e conviene informarsi dalle ditte produttrici e scegliere quella che ci convince maggiormente.
  • Lotta biologica: consiste nel lancio nell’ambiente di insetti antagonisti, e su grandi estensioni come quelle aziendali ha senso praticarla.
  • Reti antinsetto: si usano per esempio nei frutteti, nella lotta a molti insetti nocivi. Si stendono sopra le piante o sopra i filari, ed è un metodo un po’ costoso ma efficace.

La vendita dei prodotti bio

Durante il periodo della conversione al bio non è ancora possibile vendere i prodotti come biologici, e questo comporta sicuramente un po’ di sacrificio, che bisogna far fruttare presto.

È bene investire molto nella comunicazione per attirare clienti che apprezzano la volontà di conversione al biologico e che cercano la freschezza e la qualità dei prodotti.

azienda bio certificata

Le registrazioni

Tutto quello che facciamo in azienda deve sempre essere riportato nel registro colturale e in quello dei trattamenti, perché durante la visita ispettiva dell’organismo di controllo ci saranno sicuramente richiesti questi documenti.

Nel registro acquisti e vendite dovremo anche riportare fatture o ddt, e al giorno della visita ispettiva avere le giacenze di magazzino (di semi, concimi, fitosanitari ecc).

Articolo di Sara Petrucci

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