Metodi di coltivazione

Le conseguenze delle lavorazioni al terreno

Il suolo è un organismo vivente composito, con le lavorazioni l’uomo spezza equilibri deboli e rischia di produrre desertificazione. Il pensiero di Gian Carlo Cappello.

Aggiornato il 27.06.2025

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terreno gestito come orto elementare

Questo testo fa parte di un ciclo di articoli scritti da Gian Carlo Cappello. Per chi volesse saperne di più sulla coltivazione elementare e sul “non-metodo Cappello” consiglio la lettura dell’introduzione al “non metodo” e poi ovviamente il libro di Gian Carlo, La Civiltà dell’orto.

Il suolo allo stato naturale è un organismo vivente composito, in grado di produrre e mantenere se stesso e tutte le forme di vita presenti sul Pianeta. Nel terreno converge l’energia del Sole captata dalle piante mediante la fotosintesi clorofilliana e trattenuta sia nelle fibre vegetali che nei tessuti delle altre forme di vita che di essa si nutrono, direttamente o indirettamente.

Tutto ciò che è vivente finisce per appoggiarsi sulla superficie della terra, per esserne assorbito e reinserito nel ciclo della vita, senza conoscere entropia da un passaggio all’altro. L’elemento al centro della vita, il carbonio, è custodito soprattutto nel “Fort Knox” chiamato terra e viene reso disponibile in superficie per tutti noi dalle piante.

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Come ci ricorda Claude Bourguignon, il Pianeta è coperto al 70% di acqua, ma non lo chiamiamo Pianeta Oceano; è rivestito da oltre 50 Km di atmosfera, ma non lo chiamiamo Pianeta Aria. Se lo chiamiamo Terra è perché evidentemente sentiamo forte il richiamo della nostra dipendenza dal suolo, dal quale oltre al cibo di cui ci nutriamo scaturisce l’acqua che possiamo bere e dal quale nascono le piante capaci di produrre l’ossigeno che respiriamo.

L’importanza dell’humus

Il nostro stesso nome, homo, proviene dalla componente più significativa del suolo: l’humus. Non a caso secondo le scritture siamo stati forgiati dall’argilla. Ma al contrario dell’acqua e dell’aria la terra è fragile e possiamo distruggerla con facilità; possiamo inquinare gli oceani (e lo facciamo) ma non riusciremo a farli evaporare; possiamo aprire voragini negli strati più alti dell’ozono ma non sapremo dissolvere l’atmosfera, però riusciamo a vanificare la preziosa predisposizione della terra alla vita lavorandola e costipandola di sostanze chimiche.

Dei 5 miliardi di ettari coltivabili negli anni ‘70 ne abbiamo desertificati la metà, a fronte di un raddoppio ad oggi della popolazione umana. Se la molecola dell’acqua e i componenti dell’aria sono tenuti insieme da legami atomici forti, al contrario la terra fertile si forma in presenza di legami deboli tra la materia organica e minerale, collegamenti che la devastante attività umana può spezzare, soprattutto con lavorazioni meccaniche sempre più invasive.

Possiamo quindi comprendere la delicatezza dei principali processi di composizione e attivazione del suolo vivo e cominciare a non meravigliarci se una terra lavorata, concimata, diserbata, ammendata e irrigata, sulla cui superficie vengano spruzzati pesticidi e stesi teli di plastica non riesca più a dare alla luce piante forti e veramente capaci di darci cibo sano e aria pulita.

La civiltà dell’orto: il libro di Gian Carlo Cappello

Un libro con riflessioni profonde, che propone un “non metodo” di coltivazione rivoluzionario. Abbiamo intervistato l’autore, Gian Carlo Cappello.

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  • Commenti (2)

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    • Mauro Conti

      L’articolo si è interrotto sul più bello…

      6 Maggio 2019

      Rispondi
      • Matteo Cereda

        Hai ragione Mauro, ma non temere… Gian Carlo Cappello ha molte cose da dire e continuerà a scriverne su Orto Da Coltivare. Per chi è curioso e vuole saperne di più subito consiglio di cercarlo in uno dei corsi che tiene in giro per l’Italia, oppure di leggere il suo bel libro La civiltà dell’orto.

        6 Maggio 2019

        Rispondi

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